IL POZZO SANTO STEFANO

Le ricerche che il Gruppo Speleologico Prealpino sta conducendo da qualche anno a questa parte sul versante est del Monte Orsa, nei territori di Viggiù e Saltrio, ha consentito di scoprire ed esplorare una serie di cavità verticali assai interessanti, fenomeni naturali tipici delle aree carsiche dove profonde fratture verticali degli strati calcarei vengono percorse dalle acque di percolazione che, nel corso dei millenni, contribuiscono alla dissoluzione chimica della roccia carbonatica dando così origine a pozzi ampi e di considerevole profondità. Il loro reperimento non è cosa facile, gli ingressi spesso sono occlusi dalla copertura detritica superficiale, e solo gli esperti sono in grado di “fiutare” il punto esatto dove essi sono celati. 

Le ispezioni condotte nel dicembre 2020 su quel territorio hanno difatti regalato agli speleologi un nuovo pozzo da esplorare. E’ stato chiamato “Pozzo Santo Stefano”, scoperto dal socio Stefano Nadile, ed esplorato per la prima volta da un team composto anche da Andrea Triggiani, Aldo Crivelli, Claudia Crema, Barbara Giuliani e Domenico Tufano.

Si tratta di un’ampia voragine profonda una trentina di metri sul fondo della quale è stata individuata una seconda frattura scende ancor più in profondità, ma dove le operazioni sono momentaneamente ferme per procedere nell’allargamento dei passaggi, troppo stretti per un corpo umano. Occorre ora intervenire sulle pareti, spaccando la roccia nei punti più difficili e consentire così agli esploratori di scendere ancor più in basso, verso zone ignote, dove a notevole distanza si percepisce rumore di scorrimento d’acqua.

Le ricerche condotte in tal senso dagli speleologi sono di particolare importanza, soprattutto per l’opportunità di monitorare al meglio e studiare le caratteristiche delle vene idriche ipogee che, dopo aver attraversato l’intero massiccio montuoso, riaffiorano in superficie per alimentare sorgenti e acquedotti dei paesi limitrofi. Un preziosissimo ed esclusivo contributo a vantaggio della collettività, poiché la disponibilità di acqua potabile è un’assoluta priorità e un bene sempre più minacciato da molteplici forme di inquinamento.

L’impegno e il contributo del gruppo Speleologico Prealpino in tal senso riveste ancor più importanza se consideriamo che l’area in oggetto rientra tra i siti UNESCO, e quindi oggetto di una maggiore tutelata.

Soltanto negli ultimi tre anni il sodalizio ha localizzato in quella zona ben 6 importanti cavità verticali, pozzi profondi da 10 a 45 metri e concentrati in un’area relativamente ristretta, a testimonianza di come il sottosuolo carsico da millenni stia drenando enormi quantità di acqua, una massa liquida che per effetto delle gravità defluisce a centinaia di metri di profondità alimentando svariate risorgive. La catalogazione e il monitoraggio costante di questi fenomeni sono garanzia di qualità e tutela di queste delicatissime preziosità della natura da cui tutti noi dipendiamo. Basti ricordare che tra i 1950 e il 1990 il consumo d’acqua a livello mondiale è più che triplicato, ed è stimato che attualmente l’umanità stia usando più della metà delle acque superficiali disponibili. Una corretta gestione delle acque sorgive potrebbe risolvere i problemi di molte aree cronicamente assetate e che, a ben guardare, sono afflitte da sprechi, perdite e reti distributive inadeguate. Attualmente in Italia il 40% delle acque potabili è fornito da sorgenti carsiche, risorsa che però viene anche sfruttata per usi industriali e per produrre energia. Una proiezione della FAO relativa ad alcuni anni fa, prevedeva che entro il 2025 almeno l’80% della domanda idropotabile sarebbe dovuta essere soddisfatta dalle acque di provenienza carsica, una riserva enorme, ma non infinita, di liquido di buona qualità, se ne sarà scongiurato l’inquinamento. 


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Pozzo S Stefano