IL POZZO DEL SALTRIOSAURO
Si tratta di un’esaltante scoperta effettuata nel gennaio del 2017, a seguito di ricerche condotte nell’area del versante est del Monte Orsa, poco distante dalle cave di Saltrio. Stefano Nadile, geologo appassionato di fossili, dopo essersi imbattuto in un anfratto seminascosto tra blocchi di roccia ed aver compreso trattarsi di una verticale naturale, avvertì il Gruppo Speleologico Prealpino, organizzando così l’esplorazione della cavità. Il primo sopralluogo fu determinante per appurare la presenza di un pozzo profondo 25 metri, sino ad allora inesplorato, caratterizzato da morfologie tipiche delle grotte scavate dall’azione dell’acqua, fenomeni che gli esperti sanno ben interpretare attraverso le tipiche forme delle pareti. Un bel pozzo, piuttosto ampio e davvero suggestivo, che gli speleologi hanno analizzato con notevole soddisfazione ed interesse, fotografandone le morfologie ed effettuando varie misurazioni. La prima escursione in questa grotta, denominata dallo scopritore “Pozzo del Saltriosauro”, in onore del famoso fossile scoperto alcuni anni fa proprio nell’area delle cave, fu determinante per localizzare, sul fondo della verticale, uno stretto cunicolo oltre il quale, secondo l’intuizione degli esperti, si sarebbe dovuta trovare la prosecuzione della grotta. Fu pertanto necessario organizzare una seconda discesa esplorativa, effettuata ad una decina di giorni di distanza dalla prima per offrire l’opportunità allo scopritore di seguire un rapido corso di progressione su corda, necessario per conoscere il corretto uso delle attrezzature e poter scendere con gli speleologi ad esplorare la sua grotta, così come tanto desiderava.
Durante la seconda discesa nel pozzo si procedette all’allargamento dello stretto cunicolo terminale, rimuovendo una gran quantità di fango e detriti in accumulo. Dopo aver ottenuto un passaggio transitabile, vennero percorsi alcuni metri sbucando in una sala, uno spazio abbastanza ampio e comodo, oltre la quale venne subito localizzata una seconda strettoia, una stretta finestra nella roccia oltre la quale occhieggiava nuovamente l’oscurità. Un primo test con lancio di pietre al di là dello stretto passaggio svelò immediatamente la presenza di un secondo pozzo, e nel corso di una terza escursione fu possibile allargare il passaggio, posizionare la corda e superare un salto di 5 metri, giungendo così in quello che, all’unanimità, fu considerata la “fine” della grotta, o perlomeno del tratto percorribile dagli esseri umani. Una sala abbastanza ampia ma completamente invasa da fango, un luogo dove le acque di percolazione hanno convogliato limo e pietruzze, trasformando il fondo della sala in un giacimento di sabbie mobili, nelle quali si sprofonda lentamente e dalle quali ci si libera con non poche difficoltà. A testimonianza di come questa ultima parte della grotta funzioni da serbatoio di percolazione, la sottile linea di livello delle acque evidente a circa tre metri di altezza, costituita da fango di diverso colore con particelle di legno e foglie; una traccia che racconta inequivocabilmente la presenza, in certi periodi dell’anno, di un vero e proprio laghetto sotterraneo alimentato dalle acque che, precipitando dall’alto, lentamente defluiscono in profondità, filtrando dal fondo argilloso della grotta. In alcuni angoli della sala sono state osservate anche delle belle concrezioni, se pur di modeste dimensioni.
Terminata la fase esplorativa si è quindi proceduto alla misurazione della cavità, realizzandone la mappatura e attraverso la quale si è potuto stabilire che il Pozzo del Saltriosauro vanta una profondità di oltre 40 metri dall’ingresso, con uno sviluppo planimetrico di circa 35.