CHI SIAMO
Il Gruppo Speleologico Prealpino è una libera Associazione istituita il 4 marzo 2002 su iniziativa di Guglielmo Ronaghi, già fondatore dello Speleo Club Valceresio e del C.A.V.E.S. di Bisuschio (VA). Tra gli scopi istituzionali del sodalizio si annoverano, in primo luogo, la promozione della ricerca, esplorazione e studio delle cavità naturali e delle acque ipogee in esse circolanti, finalizzati alla loro valorizzazione e tutela, con particolare riferimento ai fenomeni carsici presenti in Valceresio, sul monte Campo dei Fiori e in altre aree del varesotto e d'Italia.
Il Gruppo Speleologico prealpino trae il proprio sostentamento economico prevalentemente attraverso iniziative culturali come le visite guidate in grotta e la proiezione di filmati presso Associazioni ed Enti, ma anche grazie a privati cittadini e istituzioni che spesso identificano nell'operato del sodalizio un valido e concreto contributo alla conoscenza, valorizzazione e tutela del patrimonio carsico superficiale e profondo. L'iscrizione al G.S. Prealpino non deve quindi essere intesa come esclusiva nei confronti degli speleologi, poiché è aperta anche a coloro che, pur non praticando questa attività, ne condividono gli scopi e intendono contribuire alla crescita qualitativa e allo sviluppo del sodalizio attraverso le proprie conoscenze, capacità ed altre opportunità che sono in grado di offrire.
I SOCI DEL GSP
PRESIDENTE Guglielmo Ronaghi
VICE PRESIDENTE Claudia Crema
TESORIERE Donatella Vergobbi
CONSIGLIERE Roberto Testa
CONSIGLIERE Domenico Tufano
I SOCI DEL GSP
Alioli Paolo - Bertagnolo Andrea - Bertagnolo Ivano - Bertagnolo Sabrina - Brugnoni Nicla - Carraro Giorgia - Carraro Silvano - Carrer Alberto - Ceccalupo Salvatore - Cirea Luca - Comolli Matteo - Conti Emiliano - Crema Claudia - Crivelli Aldo - Curletto Francesca - De Grassi Andrea - Di Michele Vincenzo - Di Tora Daniele - Falzone Fabio - Farrè Massimo - Feroldi Ernesto - Ferraris Marco - Festa Daniele - Franceschin Antea - Fredriksson Terese - Gerosa Franco - - Giuliani Barbara - Lambiase Simonetta - Lepri Gian Luca - Marinello Tiziano - Mason Claudio - Mongrandi Davide - Murtinu Sara - Nadile Stefano - Negretto Daniele - Negrini Matteo - Negrini Maurizio - Ossola Matteo - Piona Annalisa - Piraneo Salvatore - Ravasi Damiano - Reggiori Donatella - Reina Paola - Romano Lidia - Ronaghi Emanuele - Ronaghi Guglielmo - Rossi Giacomo - Rovida Cinzia - Rugen Gloria - Rusconi Alessandro - Rusconi Enrico - Santinon Yari - Sirb Mihaela - Terraneo Angelo - Testa Roberto - Torri Elisa - Tufano Domenico - Triggiani Andrea - Vedani Gianfranco - Veneziani Yuri - Vergobbi Donatella - Veronelli Andrea - Wolf Frank - Zardoni Angelo - Zonin Simone
CENNI STORICI
SULLA SPELEOLOGIA IN PROVINCIA DI VARESE
L’attività speleologica in provincia di Varese vanta una tradizione ormai secolare, poiché già dai primi del ‘900 vennero organizzate spedizioni allo scopo di esplorare alcune tra le cavità naturali che hanno fatto storia, come la grotta Marelli, la grotta Remeron e l’Abisso della Scondurava, tutte ubicate sul monte Campo dei Fiori.
Nel dopoguerra la ripresa delle ricerche ha quindi portato all’individuazione di molte altre grotte, anche se dagli anni ’70 in poi, con l’avvento di nuove tecniche, ovvero l’utilizzo delle corde e delle attrezzature specifiche per la progressione in sicurezza su di esse, l’evoluzione è stata rapida e con essa i risultati esplorativi; centinaia di grotte scoperte ed esplorate sulle principali aree carsiche del varesotto, ovvero il monte Campo dei Fiori, la Valceresio, la Valganna e la Valcuvia.
Numerosi i Gruppi speleologici operanti sul territorio di Varese, ognuno dei quali impegnato su queste aree. L’attività del Gruppo Speleologico Prealpino, divisa tra il monte Campo dei Fiori e la Valceresio, permette ai suoi associati di perseguire con passione e competenza le fasi sistematiche che consentono di giungere all’esplorazione sotterranea, documentata scientificamente. Attraverso le fasi di ricerca esterna, nel corso della quale gli speleologi effettuano delle vere e proprie “battute” esterne, vengono individuati gli ipotetici ingressi di cavità naturali, molto spesso ostruiti dalla copertura detritica superficiale o di dimensioni millimetriche; a seguito di questa prima fase, gli esperti si vedono quindi impegnati nella successiva fase di disostruzione, ovvero lo scavo e lo sbancamento delle fessure impercorribili, oltre le quali si ipotizza l’esistenza di un sistema sotterraneo percorribile. Se la fortuna e l’esperienza decidono di premiare gli accaniti cercatori di grotte, a quel punto si giunge alla fase più esaltante e di grandi soddisfazioni; percorrere nelle viscere della terra ambienti sino a quel momento inviolati, rimasti nascosti laggiù per millenni, senza nessun contatto con il mondo esterno.
In Valceresio, sui monti Monarco, Rho e Minisfreddo, il G.S.P. sta tuttora operando con lusinghieri risultati, poiché a tutt’oggi su queste montagne sono state individuate oltre 70 grotte, molte delle quali ancora in fase esplorativa.Sono momenti fantastici, riservati a pochi fortunati e a coloro che sono dominati da una grande passione, l’unica vera energia che consente loro di non gettare mai la spugna anche nei momenti più sconfortanti. Questa è la speleologia, o per lo meno quella che differenzia i veri amanti dell’avventura e dei misteri che la natura ancora nasconde nel sottosuolo.
SPELEOLOGIA E AMBIENTE
“PER QUALE MOTIVO SCENDETE NELLE GROTTE?” Questa è la classica e legittima domanda che ci è stata fatta centinaia di volte, soprattutto quando ci vedono sbucare completamente infangati da una stretta fessura nel terreno, l’interrogativo che la maggior parte della gente ci pone per comprendere le ragioni che spingono a praticare un’attività per molti versi misteriosa ed affascinante quale la speleologia. I motivi possono essere molteplici, c’è chi diventa speleologo attratto da uno sport diverso, per il semplice gusto dell’avventura o per l’orgoglio di poter partecipare ad imprese riservate a pochi coraggiosi che non temono il pericolo, il buio, l’umidità, il fango, il freddo e le grandi fatiche. Oggi più che mai il vero significato della speleologia, al di là di grandi imprese esplorative, si identifica come una vera e propria scienza per la difesa dell’ambiente, un valido ed esclusivo strumento in grado di concorrere efficacemente nella salvaguardia di un bene essenziale per il genere umano: l’acqua.
Non tutti sanno che le grotte si sviluppano all’interno delle aree carsiche, e circa un quarto dei territori montani e collinari italiani (un sesto dell’intera superficie territoriale) è formato da terreni carsificabili, dove le acque esplicano un’azione corrosiva sulla roccia scavandovi vie sotterranee che, quando sono di dimensioni tali da consentire l’accesso all’uomo, vengono chiamate GROTTE. Il carsismo prende il nome dal Carso, altopiano presso Trieste dove i suoi effetti sono particolarmente intensi, ed è un fenomeno di grande complessità.
Le rocce carsificabili ospitano al loro interno enormi volumi idrici in ragione della loro permeabilità, dovuta essenzialmente dal reticolo di fratture che l’acqua stessa tende ad allargare. Un sistema idrologico carsico ha origine dall’infiltrazione di acque di provenienza esterna che può avvenire attraverso punti di assorbimento concentrati (inghiottitoi) o diffusi (fratture ed altre discontinuità della roccia). La giunzione sotterranea dei diversi flussi idrici crea ruscellamenti che a loro volta contribuiscono a formare corsi d’acqua più consistenti, talvolta veri e propri fiumi che scorrono in ampie gallerie, attraversano saloni e precipitano in pozzi verticali fino a raggiungere una zona profonda dove ogni spazio è riempito dall’acqua. In questa regione perennemente allagata (zona satura o freatica), l’acqua si muove lentamente in direzione di una sorgente.
Le modalità e velocità di deflusso delle diverse zone sotterranee sono molto differenti; nella parte superiore l’acqua scorre in condizioni del tutto simili a quelle dei corsi d’acqua esterni, nella zona satura, invece, l’acqua si muove in pressione e la sua velocità è bassa. La circolazione idrica nelle aree carsiche si manifesta con la presenza di grandi sorgenti che sgorgano ai margini dei monti o degli altopiani; sono spesso luoghi di particolare bellezza, dove le acque rivedono la luce dopo un lungo e complesso viaggio nel buio delle profondità ipogee. Acque limpidissime, gelide e abbondanti che sgorgano dalla roccia o dal sottosuolo per essere utilizzate dalla collettività.
Ecco per quale ragione diventa così importante la speleologia: gli esploratori delle grotte collaborano da decenni con Enti di ricerca impegnati nello studio dei fenomeni che interessano il sottosuolo carsico e la sua complessa idrologia. Le scoperte speleologiche consentono infatti di conoscere e documentare le caratteristiche dell’ambiente sotterraneo dov’è presente la percolazione e il ruscellamento, mentre le esplorazioni speleosubacquee si stanno spingendo in luoghi sempre più remoti della zona freatica perennemente sommersa. Sebbene incomplete, poiché solo una piccola parte dei sistemi carsici è accessibile all’uomo, queste conoscenze sono fondamentali per capire l’estensione e l’idrodinamica dei sistemi carsici, permettendo altresì il monitoraggio della qualità delle acque e l’identificazione delle eventuali fonti di inquinamento. Gli acquiferi carsici, in effetti, presentano caratteristiche dinamiche tali da esercitare uno scarsissimo contrasto alla diffusione degli inquinanti, possedendo elevate velocità di deflusso e scarsissima capacità di auto depurazione, il che li rende molto esposti a rischi di contaminazione, sia di tipo accidentale che permanente, inoltre la presenza di laghi e bacini sotterranei può favorire l’accumulo delle sostanze inquinanti che in tal modo possono raggiungere concentrazioni superiori a quelle della fonte originaria, per poi venire velocemente recapitate alle sorgenti durante le piene.
L’inquinamento sotterraneo ha origini antiche: la diffusa credenza che sia sufficiente nascondere i rifiuti nel sottosuolo per poterli ignorare ha generato l’abitudine, dura a morire, di gettare oggetti, macerie e materiali biologici di ogni tipo comprese le carcasse di animali, nei pozzi naturali che abbondano nelle zone carsiche.
In tutto il mondo si assiste ad un preoccupante aumento della richiesta idrica, una tendenza che appare in costante crescita: tra il 1950 e il 1990 l’uso mondiale di acqua è più che triplicato, ed è stimato che attualmente l’umanità stia usando più della metà delle acque superficiali disponibili. Ma quant’è l’acqua “buona” che possiamo usare direttamente? In realtà molto poca. Anche se la superficie terrestre è coperta per il 71% di acqua, questa è per il 97,5% salata. L’acqua dolce è per il 68,9% racchiusa nelle calotte polari e nei ghiacciai, per il 29,9% nelle falde profonde del sottosuolo e solo lo 0,3% è localizzata in fiumi e laghi, e quindi potenzialmente disponibile. Tale quantità corrisponde allo 0,008% dell’acqua totale del pianeta ed è distribuita in modo ineguale sulla superficie terrestre, mentre un altro 0,001% è contenuto nell’atmosfera, una quota irrisoria ma importante poiché perpetua il ciclo dell’acqua. Per quanto riguarda i consumi idropotabili possiamo affermare che un cittadino statunitense ne usa circa 650 litri al giorno, un italiano ne ha a disposizione 380, ma al di là del mare, in Tunisia, ogni uomo può contare su 50 litri d’acqua al giorno, e nei paesi aridi del Sahel al massimo 20 litri pro capite al giorno. Per queste ragioni una corretta gestione delle acque sorgive, ed in particolare di quelle delle sorgenti carsiche, avrà in futuro un’importanza eccezionale.
Uno studio della FAO relativo all’area mediterranea, ricca di grandi massicci carsici, prevede che entro il 2025 almeno l’80% della domanda idropotabile dovrà essere soddisfatta dalle acque di provenienza carsica, una riserva enorme ma non infinita di liquido di buona qualità, ovviamente se sarà scongiurato l’inquinamento. Il patrimonio idrico carsico italiano è stimato complessivamente in circa 410 metri cubi/sec, come dire 13 miliardi di metri cubi/anno oppure 632 litri di acqua al giorno per ogni italiano, ovvero più del doppio del fabbisogno attuale. Questo enorme “fiume” di acque di origine profonda costituisce quasi il 10% del deflusso superficiale dell’intero territorio nazionale.
Di fronte al progressivo depauperamento delle fonti tradizionali di approvvigionamento, saranno le acque carsiche ad assumere in futuro un ruolo fondamentale per le necessità del genere umano.
SPELEOLOGIA IN VALCERESIO
La Valceresio rappresenta un’importante realtà carsica della provincia di Varese; essa si estende per circa 8 chilometri tra Induno Olona e il lago Ceresio, che segna anche il confine col territorio elvetico. Tipica valle modellata nel corso dei secoli dal lento avanzare dei ghiacciai, è circondata dai monti Orsa e Pravello, ubicati sulla destra idrografica, mentre sul lato opposto è delimitata dai monti Monarco, Rho, Minisfreddo e Poncione di Ganna. Questa cima costituisce l’ultimo avamposto calcareo della Valceresio, oltre il quale domina il “granofiro di Cuasso” o “porfido rosso”, formazione litologica cristallina non aggredibile dalle acque e quindi dove il fenomeno carsico è inesistente.
L’origine della catena del Monarco-Rho-Minisfreddo risale al periodo liassico, ovvero ad oltre 180 milioni di anni fa quando, per effetto dell’orogenesi, antichi fondali marini si innalzarono formando le montagne. Questo lento e costante movimento di enormi bancate rocciose determinò anche la loro fratturazione, ovvero il primo passo verso la formazione delle grotte; attraverso le fessure presenti nella roccia carbonatica, infatti, le acque superficiali iniziarono una lenta ed inesorabile opera di erosione, creando via via condotte sempre più ampie, sino ad ambienti di grandi dimensioni. Questo processo, chiamato carsismo, si è verificato anche in Valceresio, e a partire dai primi anni ’80 fu oggetto di attente osservazioni e ricerche ad opera di speleologi tra cui Guglielmo Ronaghi e Gian Paolo Rivolta, i quali avviarono un intenso e sistematico programma destinato all’individuazione delle cavità naturali presenti su queste montagne.
Si tratta di un grande ed importante impegno che ha richiesto, nel corso degli anni, un lungo e faticoso lavoro condotto con la collaborazione di vari speleologi, concentrato sulla ricerca, sull’esplorazione e lo studio di una settantina di cavità naturali. Alcune di esse vennero localizzate scendendo lungo le ripide e pericolose scarpate del monte Rho d’Arcisate, mentre altre vennero reperite nel corso di battute invernali con la presenza del manto nevoso, che ha reso possibile, nei punti dove la neve non si deposita a causa dell’aria calda proveniente dai sistemi sotterranei, l’individuazione di vari ingressi sepolti dalla copertura detritica superficiale.
Lo studio di tutte queste grotte ha consentito agli speleologi di comprendere l’origine di tali fenomeni, i meccanismi che hanno determinato le morfologie osservate nel corso delle esplorazioni e, soprattutto, l’importanza che tutto ciò rappresenta nel territorio dove tutte queste cavità si sono originate, poiché esse costituiscono, a tutti gli effetti, le vie preferenziali delle acque meteoriche che, dalle aree sommitali dei monti, percolano in profondità lungo le fratturazioni della roccia, attraversando l’intera montagna, sino a raggiungere i punti di risorgenza, ubicate a valle.
Nel corso dei millenni, le acque superficiali che sono state assorbite dal reticolo di fessure presenti nella roccia calcarea, hanno scavato gli ambienti sotterranei costituiti da un fitto e complicato sistema di cunicoli alternati a sale, gallerie e profondi pozzi, ed è grazie al prezioso contributo degli speleologi che è stato possibile scoprire cavità particolarmente interessanti, alcune delle quali con una profondità di oltre un centinaio di metri, dove sono presenti fenomeni concrezionali ed altre formazioni minerali davvero belle, nonché fossili ed altre rarità create della natura.
L’impegno assunto dagli appartenenti al Gruppo Speleologico Prealpino, oltre alle esplorazioni sotterranee, consiste altresì nella salvaguardia del delicato equilibrio esistente tra il mondo delle grotte ed il mondo esterno; la tutela del patrimonio carsico superficiale e profondo dei monti Monarco, Rho e Minisfreddo, oltretutto, rappresenta una garanzia essenziale per la difesa delle acque circolanti in queste aree.